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Didattica |
FontiPredicazione e vita religiosa nella società italiana (da Carlo Magno alla Controriforma)a cura di Roberto Rusconi © 1981-2006 – Roberto Rusconi Sezione I – L'inquadramento religioso delle popolazioni nell'alto medioevo13. Come si compone un sermone latino nel IX secoloIn un codice della biblioteca capitolare di Verona, risalente al secolo IX, è conservato un libellus de assidua praedicatione. Si tratta di un sermone latino, redatto mettendo insieme diversi pezzi, tutti risalenti al V e VI secolo. I primi due numeri, infatti, sono tratti dalle opere di Cesario, vescovo di Arles (ca. 470-542). Il grosso del testo è copiato dal sermone 211 di sant'Agostino. Alla fine, non si sa se di mano dell'autore di questo pastiche, vi è una esortazione alla concordia fraterna, allo scopo di evitare la punizione divina, che concretamente si manifesta nella siccità. Fonte: G. G. MEERSSEMAN, Ministerio parocchiale nel IX secolo secondo il codice XC della Capitolare di Verona, in «Zeitschrif t für Schweizerische Kirchengeschichte», 71, 1977, pp. 11-15. La traduzione è mia. 1. Prego chiunque, nelle cui mani pervenga questo libretto, e lo supplico con grande umiltà, affinché egli stesso lo legga molto di frequente, e non solo lo dia ad altri da leggere e da trascrivere, ma anche si dia da fare per ricevere una duplice ricompensa da Dio, per i suoi progressi e per quelli altrui. Lo suggerisco per questo, perché vi sono molti, tra cui anche taluni religiosi, i quali vogliono possedere parecchi libri, rilegati piuttosto elegantemente ed in bella maniera, e li tengono chiusi negli armadi, di modo che né li leggono loro né li prestano ad altri da leggere: ignorando che non giova nulla possedere libri e non leggerli per gli impedimenti del mondo. Infatti un libro ben rilegato ed elegante, se non viene letto, non rende l'anima monda. Infatti quello che viene letto continuamente, e per questo motivo viene sfogliato spesso, non può essere di bell'aspetto, ma rende bella l'anima di dentro. 2. In considerazione della paterna pietà e della sollecitudine di qualsiasi pastore, ho scritto in questo libro semplici ammonizioni, ma necessarie alle parrocchie: e queste i santi presbiteri e diaconi le dovranno recitare nelle maggiori festività alla popolazione loro affidata. Ed io, cercando di adempiere a questo compito con animo benevolo, ho assolto la mia coscienza davanti a Dio. Ma se alcuni, presbiteri o diaconi, si saranno a tal punto inviluppati in impedimenti di carattere terreno, da non poter illustrare al popolo questi sermoni abbastanza di frequente, pensino bene in che modo possano rendere ragione, davanti al tribunale di Cristo, del gregge del Signore, che è stato loro affidato. Ma, in base alla misericordia del Signore, siamo convinti che essa si degnerà di ispirare tutti i chierici, e soprattutto i presbiteri ed i diaconi, in modo tale che essi non meriteranno di incorrere nel peccato di negligenza, bensì piuttosto di ricevere il premio eterno per la loro assidua predicazione. 3. In molti passi delle Sacre Scritture lo Spirito Santo ci ricorda di parlarvi della concordia fraterna, e pertanto, chiunque ha una lite con un altro, la tolga di mezzo, per non essere tolto di mezzo lui. Non disprezzate questi ammonimenti, fratelli miei! Dal momento, infatti, che questa vita mortale è fragile ed incerta ed è sottoposta ai rischi di tante tentazioni (preghiamo il cielo che non ne venga sommersa), non può essere senza peccato qualunque persona giusta. E vi è un unico rimedio, grazie al quale possiamo vivere, dal momento che il nostro maestro, Dio, ci insegnò a dire nella preghiera: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Abbiamo fatto con Dio un patto ed un placito, ed abbiamo sottoscritto la condizione di assolvere il nostro debito con una garanzia: «Rimetti a noi», chiediamo con piena fiducia, «così come anche noi rimettiamo». Se poi non rimettiamo, con quale coscienza possiamo confidare che ci vengano rimessi i nostri peccati? L'uomo non inganni se stesso: Dio non inganna nessuno. 4. Adirarsi è umano: volesse il cielo che potessimo evitarlo. Adirarsi è umano, ma ciascuno non deve innaffiare con diversi sospetti i piccoli ramoscelli nati dalla propria ira, ed arrivare ad un tronco di odio. Infatti una cosa è l'ira, un'altra è l'odio. Spesso infatti anche il padre si adira con il figlio, ma non lo odia. Sé pertanto si adira con lui, perché si corregga, si adira per amore. Per questo è stato detto: «Vedi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, ma non vedi la trave nel tuo occhio». Biasimi l'ira altrui, mentre in te stesso viene mantenuto l'odio. In confronto all'odio, l'ira è una pagliuzza, ma se farai crescere una pagliuzza, diventerà una trave. 5. Se prestate attenzione all'epistola di san Giovanni, leggendola vi dovrebbe atterrire. Infatti essa dice: «La tenebra è passata e la luce vera già risplende», e quindi aggiunge di seguito: «Colui che dice di essere nella luce ed odia suo fratello, è ancora nelle tenebre». Ma spesso l'uomo pensa che queste tenebre siano tali quali quelle che soffrono i reclusi nelle carceri. Magari fossero tali! E tuttavia in tali tenebre nessuno vuole trovarsi. Infatti, in queste tenebre delle carceri possono essere rinchiusi anche degli innocenti. In esse, infatti, sono stati rinchiusi i martiri. Le tenebre erano diffuse tutt'intorno a loro, ma la luce splendeva nei loro cuori. In quelle tenebre delle carceri, infatti, gli occhi non vedevano, ma essi con il loro amore fraterno vedevano Dio. 6. Volete sapere quali sono le tenebre a proposito delle quali fu detto: «Chi odia il proprio fratello è ancora nelle tenebre»? Ed in un altro passo dice: «Chi odia il proprio fratello è omicida». Chi odia il proprio fratello circola, esce, entra, cammina, senza essere rinchiuso in nessun carcere: e tuttavia è legato dalla colpa. Quando senti: «Chi odia il proprio fratello è ancora nelle tenebre», perché non avvenga che non ci si preoccupi di tali tenebre, [l'apostolo Giovanni] aggiunge e dice: «Chi odia il proprio fratello è omicida». Tu odi il fratello, e cammini sicuro e non vuoi essere in concordia con lui? Non riconosci per quale motivo Dio ti ha dato tempo, e già sei omicida, e sei ancora vivo? Se Dio fosse irato con te, metteresti subito riparo all'odio fraterno. Se il Signore ti perdona, perdona anche tu a te stesso. 7. Rappacificati con tuo fratello. E nel caso che tu voglia, mentre egli non vuole? Per te è sufficiente. Se non hai motivo per fargli dispiacere, hai assolto te stesso. Di' pure, se tu vuoi rappacificarti con lui, ed egli non vuole — di' pure sicuro: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». E nel caso che tu abbia peccato nei suoi confronti e vuoi rappacificarti con lui, digli: «Fratello, perdonami, perché ho peccato nei tuoi confronti», e se quello non ti vuole perdonare, egli stesso rifletta, quando deve pregare. Quando verrà a pregare, che cosa farà? Tu di': «Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome», e ancora di': «Venga il tuo regno». E prosegui: « Sia fatta la tua volontà così in cielo come in terra». E procedi ancora: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano», ed il resto. Hai detto. Considera ciò che ne segue. Vuoi per caso passarlo oltre e dire altro? Non è possibile andare oltre: sei fermo lì. Dillo, dunque, e di' il vero. 8. Se, invece, non hai nessun peccato per cui dire: «Rimetti a noi i nostri debiti», non lo dire. E quando si verifica ciò che lo stesso apostolo dice: «Se diciamo che non abbiamo alcun peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi»? Ma se la coscienza della tua fragilità ti rimorde (ed in questo secolo dovunque abbonda l'ingiustizia), di' dunque: «Rimetti a noi i nostri debiti», ma considera ciò che segue. Non hai voluto rimettere il peccato al tuo fratello, e stai per dire: «Come anche noi rimettiamo ai nostri debitori». Oppure non lo dirai? Anche se lo dirai, non riceverai nulla. Pertanto dillo e di' il vero. Ma come dirai il vero, tu che non hai voluto sciogliere la colpa a tuo fratello? 9. Dopo averti ammonito, ora ti voglio confortare, chiunque tu sia, purché tu abbia detto a tuo fratello: «Perdonami, perché ho peccato nei tuoi confronti», se l'hai detto di cuore, ma con vera umiltà, e non con finto amore, come Dio può vedere nel tuo cuore. Lo hai detto, ma egli non ti ha voluto perdonare: non essere preoccupato. Siete entrambi servi ed avete un padrone; tu hai un debito nei confronti del tuo compagno di servitù. Non te l'ha voluto rimettere? Interpella il padrone di entrambi. Il servo esigerà, se potrà, ciò che il padrone ti avrà rimesso. Dico un'altra cosa: ho infatti ammonito colui che non vuole perdonare al proprio fratello, poiché quest'ultimo chiede di essere perdonato, affinché faccia ciò che non voleva fare: perché non si verifichi che, quando prega, non riceva ciò che desidera. Ho ammonito infatti anche colui che chiede perdono del suo peccato al proprio fratello e che non lo riceve, che si fidi del suo signore, per quello che non ottiene dal fratello. 10. E vi è un altro caso, vi ammonisco. Tuo fratello ha peccato nei tuoi confronti e non ti vuole dire: «Perdonami perché ho peccato verso di te». Queste parole sono di troppo. Magari Dio lo sradicasse dal suo campo, cioè dai vostri cuori, poiché vi sono molti che sanno di aver peccato nei confronti dei propri fratelli e che non vogliono dire: «Perdonami». E non si vergognano di un atto di ingiustizia, si vergognano di un atto di umiltà. Questi ammonisco per primi: tutti voi che avete una discordia con i vostri fratelli, rientrate in voi stessi, esaminatevi e portate un giusto giudizio dentro di voi, nei vostri cuori, e scoprirete che non dovevate fare ciò che avete fatto, e non dovevate dire ciò che avete detto. 11. Chiedete perdono, fratelli: fate ciò che dice l'apostolo: «Perdonatevi a vicenda, come anche il Signore ha perdonato a voi in Cristo». Fatelo, e non vergognatevi di chiedere perdono, per non essere trovati a doverlo chiedere ancora. Ecco, lo dico a tutti, uomini e donne e chierici, ed a me stesso. Tutti abbiamo sentito, tutti dobbiamo temere. Se abbiamo peccato nei confronti dei nostri fratelli, abbiamo ancora la tregua della vita e non siamo ancora dannati, finché viviamo. Facciamo ciò che prescrive il Padre, il quale sarà il giudice, e chiediamo perdono ai fratelli, nel caso che, peccando, li abbiamo offesi in qualcosa, in qualcosa li abbiamo danneggiati. 12. Vi sono persone umili secondo i criteri di questo mondo, le quali, se chiedete loro perdono, si gonfiano di superbia. Questo è quanto dico: talvolta il padrone pecca nei confronti del proprio servo, perché, sebbene egli sia il padrone, quello il servo, entrambi sono stati redenti dal sangue di Cristo. Tuttavia sembra oneroso che io prescriva ed ingiunga questo: nel caso che un uomo, il quale è il padrone, pecchi nei confronti del suo servo, giudicandolo ingiustamente, ingiustamente abbassandosi dica: «Scusami, perdonami»; non perché non lo debba fare, ma per impedire che quello incominci ad insuperbirsi. Che dunque? Si penta costui, dunque, davanti agli occhi di Dio, davanti agli occhi di Dio punisca il suo cuore, e se non può dire al suo servo: «Perdonami», perché non è conveniente, gli parli in maniera gentile. Infatti il rivolgere la parola con gentilezza equivale ad una richiesta di perdono. 13. Io, fratelli miei carissimi, suggerendovi queste cose, assolvo la mia coscienza presso Dio. Nessuno di voi, infatti, davanti al tribunale di Cristo potrà dire di non essere stato ammonito e stimolato verso tutto ciò che è bene ed allontanato da ciò che è male. Dunque, secondo il precetto del mio Signore, metto il denaro del mio Signore sulla tavola del vostro cuore. Quando egli verrà, lo esigerà con l'interesse. Infatti, tra tutti i mali, non consideriamo nessun peccato più grave di quando conserviamo in cuore l'inimicizia. Dovremmo riconoscerlo, perché, per il nostro odio e la nostra inimicizia nei tempi passati, non meritiamo di ricevere la pioggia. Pertanto, tutti coloro che riconoscono di mantenere nel cuore sentimenti di odio contro alcuni dei loro fratelli, si affrettino presto a riconciliarsi, affinché tutta una regione non sia costretta a sopportare una sventura e non appaia evidente che essa trabocca dal loro animo. Perdoniamo dunque ai nostri fratelli. Manteniamo la fede nel nostro Signore per la fiducia nel vincolo delle sue garanzie. Infatti egli disse: «Date e vi sarà dato, perdonate e vi sarà perdonato». Che si degni di garantirlo, colui che con il Padre e con lo Spirito Santo vive e regna nei secoli dei secoli. Amen. |
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Ultimo aggiornamento: 01/03/2006 |